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La nostra contrarietà, si basa sulle seguenti motivazioni economiche e sociali:
• Il referendum non porterà gli italiani a dire un Si o un No alle trivelle a mare.
• Il quesito chiede il blocco delle concessioni di impianti marittimi attualmente operativi nell’estrazione di olio e gas naturale tra le 5 e le 12 miglia marine dal limite della costa. Impianti operativi su giacimenti ancora ricchi di idrocarburi (gas e petrolio), fondamentali per la produzione nazionale.
• Recenti provvedimenti del Governo in materia hanno già definito le normative che stabiliscono l’esplorazione soltanto oltre le 12 miglia marittime (22,8 Km).
• Oltre l’80% degli impianti interessati dal quesito referendario sono dedicati all’estrazione del gas naturale (dove non si usano trivelle), idrocarburo a basse emissioni di CO2 e indicato anche nei vertici mondiali sulla tutela ambientale, quale vettore energetico ideale nella transizione verso le rinnovabili (sono previsti ancora 70/80 anni di consumi di idrocarburi fossili).
• L’occupazione che verrebbe messa a serio rischio sugli impianti interessati dal referendum riguarda circa 5.000 lavoratori tra i diretti (operativi sulle piattaforme, attività di ingegneria, staff, logistica e commerciale) e circa 15.000 tra gli indiretti (manutenzioni edili e meccaniche, trasporto, logistica indiretta, attività di supporto vario).
• Molte azioni quotidiane che tutti svolgiamo dipendono dall’energia garantita attraverso le nostre reti di distribuzione: viaggiare, cucinare, scaldare, produrre beni e garantire servizi. Per fare tutto ciò importiamo l’80% del nostro fabbisogno energetico.
• Il blocco di questi impianti comporterebbe un conseguente aumento delle importazioni e del traffico delle petroliere nei nostri mari.
• Le attuali norme di tutela ambientale e di sicurezza degli impianti sono severe e garantiscono ai tratti di mare interessati dalle attività di esplorazione, una flora e una fauna di qualità sul piano batteriologico e biochimico e con biodiversità diffuse.
• Altri Paesi come la Norvegia e la Gran Bretagna, con legislazioni ambientali severe come la nostra consentono, in quantità molto superiori a quelle italiane, le coltivazioni ed estrazioni di idrocarburi.
• Per il rilancio economico e sociale, il nostro Paese ha bisogno di un sistema energetico efficiente e meno costoso e quindi di maggior autonomia dalle importazioni, che attualmente vengono effettuate prevalentemente da Paesi a rischio geopolitico (Russia, Libia, Algeria, Paesi del Medio Oriente)
Senza un approvvigionamento energetico certo, continuo e sicuro, sarà difficile far ripartire la crescita, lo sviluppo e il miglioramento dei servizi nel nostro Paese.
La FEMCA CISL e la FLAEI CISL pertanto invitano all’astensione dal voto al fine di affrontare il dibattito sulla transizione energetica fuori da posizioni precostituite, da rigidità ideologiche pregiudizievoli e da conflitti istituzionali tra Regioni e Governo centrale sulla regolazione della materia, inevitabilmente provocati dalla consultazione referendaria.
Le Segreterie Nazionali
Femca Cisl – Flaei Cisl
Roma , 12 aprile 2016