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La paura prende corpo tra i lavoratori dell’impianto dell’Eni a Gela. Il settore della raffinazione è alle prese con la caduta della domanda di carburanti e con un surplus di capacità produttiva che ha portato ad un crollo dei margini.
Anche l’Eni ne è coinvolta e ha annunciato l’intenzione di avviare una ristrutturazione delle attività downstream, la fermata per un anno di alcune delle linee dell’impianto siciliano, mettendo in cassa integrazione 500 dei 1.200 dipendenti dello stabilimento e allertando gli oltre 2 mila che lavorano nell’indotto. L’annuncio ha scosso i lavoratori. “Si rischia una nuova emergenza sociale, oltre che produttiva, in un territorio che vive del lavoro di quell’impianto. – osserva Sergio Gigli, segretario generale della Femca Cisl – C’è molta preoccupazione per l’annuncio fatto dall’Eni a Gela ma ancora di più preoccupa il contorno che si sta delineando a livello nazionale”.
A cosa si riferisce?
“Mi riferisco all’indifferenza del ministro dello Sviluppo, Corrado Passera che di fronte a questa situazione che abbiamo già più volte denunciato, ovvero del rischio che, dai continui aumenti delle accise sulla benzina, scaturisca un’ulteriore depressione per l’economia italiana e il rischio che si cancellino migliaia posti di lavoro soprattutto al Sud distruggendo un patrimonio industriale che ha fortemente contribuito alla crescita del Paese”.
Non sarà mica colpa di Passera…
“Il ministro che tanto parla di sviluppo e che dice di conoscere l’Italia attraverso le vertenze, dovrebbe in realtà muoversi di più sul territorio e, ad esempio, nello specifico recarsi a Gela e andare a parlare con quei lavoratori che adesso hanno paura di perdere la loro unica fonte di reddito. Il ministro e il Governo nel suo complesso devono smetterla di essere miopi assumendo decisioni senza tener conto delle conseguenze che comportano e lasciando alle parti sociali e ai sindacati il peso di queste situazioni”.
E allora cosa proponete?
“Di lavorare tutti insieme sulla prospettiva e di smetterla di assumere decisioni sbagliate. Dobbiamo metterci tutti assieme a ragionare perché una soluzione per superare questo difficile momento economico e produttivo del Paese si può trovare solo da tavoli di concertazione e confronto. I sindacati questo con Eni lo hanno già fatto…”
Un esempio concreto?
“Mi riferisco all’accordo di maggio 2011 sul recupero di competitività che abbiamo siglato proprio con Eni dove sono previste fermate ragionate degli impianti come ad esempio è avvenuto a Marghera. Grazie a questi accordi abbiamo convenuto che nessuna attività produttiva venisse chiusa fino al 2014 ma ora, con la politica che il Governo sta portando avanti, ci chiediamo che cosa succederà dopo quella data… Noi abbiamo anche ragionato sulla possibilità di realizzare processi alternativi di produzione a partire dalla recente intesa sulla bonifica dell’area di Marghera che consente di riqualificare l’area senza smantellare alcunché”.
E nel caso di Gela?
“Nel caso dell’impianto di Gela, deve valere l’accordo di tutela del reddito dei lavoratori anche in un’ottica di fermata concordata e temporanea degli impianti e dell’avvio del programma di investimenti per 440 milioni di euro nel triennio. Con Eni i sindacati lavorano alla prospettiva occupazionale e a quale sia la soluzione industriale migliore per il futuro nel contesto della complessità economica internazionale. Ho paura che lo stesso non si possa dire al momento con il ministro Passera e con il Governo dei professori”.
Ufficio Comunicazione Femca Nazionale
(18 aprile 2012)
da Conquiste del Lavoro.it
La crisi economica internazionale e la drastica riduzione dei consumi di carburante in Italia e in Europa starebbero alla base della scelta dell’Eni di interrompere per un anno parte delle attività di Gela e di collocare 500 dei suoi 1.200 dipendenti in cassa integrazione a zero ore, con il rischio però di mandare in cig anche gran parte dei 3.000 lavoratori dell’indotto.
Il progetto aziendale di contenimento produttivo ed occupazionale è stato comunicato alle organizzazioni sindacali Cgil, Cisl, Uil e Ugl in due tavoli tecnici contemporanei: uno con le organizzazioni dei chimici, nello stabilimento di Gela, l’altro presso la prefettura di Caltanissetta per affrontare i riflessi sull’attività dell’indotto. Un terzo incontro è avvenuto a Roma, con i sindacati nazionali del settore energia.
La direzione Refining & Marketing di Eni lamenta in Italia un’eccedenza di «raffinato» (benzina e gasolio) pari a 100 milioni di tonnellate, che non si riescono a vendere. Così è stata fermata l’intera Raffineria di Porto Marghera (Venezia) per 6 mesi, col personale in cassa integrazione. Ripartirà, come concordato con i sindacati, il 2 maggio prossimo.
Poi toccherebbe a Gela, che sarebbe chiamata a fermare la linea di produzione 1 e la 3, cioè Coking 1 ed FCC, lasciando in marcia il Coking 2 che lavora il greggio locale e i residui pesanti provenienti dall’estero. Già oggi la marcia delle tre linee procede al 60%.
Nel frattempo verrebbero effettuate le manutenzioni degli impianti e realizzati gli investimenti annunciati. Ma nell’indotto si teme che la cassa integrazione riguarderà anche buona parte dei tremila tra edili, metalmeccanici e dipendenti dei servizi che operano nel petrolchimico gelese. L’Eni avrebbe assicurato alle controparti che dopo i 12 mesi di fermata verranno ripristinati i normali livelli produttivi e occupazionali. I sindacati della chimica e dell’energia, avuta la comunicazione, hanno lasciato il tavolo di confronto e hanno convocato d’urgenza il consiglio delle rappresentanze sindacali unitarie (l’ex consiglio di fabbrica) alle 11.30. L’assemblea dovrà decidere la strategia da adottare di fronte alle scelte aziendali.
(17 aprile 2012)